Album pianistici favoriti

Una serie di personali commenti su cd di musica per piano contemporanei che apprezzo e consiglio, tutti tra loro molto diversi per stile, influenza, spessore compositivo. Uno spazio contenitore in cui periodicamente inserirò le mie considerazioni su ciò che già conosco, o ciò che nel frattempo scoprirò, magari grazie anche al vostro contributo e suggerimento.


Bill Evans - AloneALONE (1968) – Bill Evans
Ho scoperto e acquistato decisamente tardi questo disco, e altrettanto tardi la figura di questo grandissimo pianista così influente e innovativo. I voicings, la complessità degli accordi, l’uso totale delle mani nella sovrapposizione di tessiture armoniche, la nitidezza sonora e il tocco unico, fanno di Evans un punto di riferimento insostituibile. Questo disco è universalmente riconosciuto come il suo capolavoro solistico, grazie ad una scelta molto appropriata di standards interpretati in maniera impeccabile.
“Sense of oneness while playing alone.” così scrisse Il pianista nelle note di copertina a proposito di questo lavoro, che fu anche a tutti gli effetti il primo da solista dopo già ben dodoci anni di attività discografica, iniziata nel 1956 con “New Jazz Conceptions”,mentre l’altro suo disco in un certo senso solista, ma frutto di sovraincisioni di piano, è il famoso “Conversation With Myself” realizzato qualche anno prima, nel 1963. 
(23/11/2011)


jarrett-dark-intervalsDARK INTERVALS (1988) – Keith Jarrett
Scegliere un disco da proporre, tra l’enorme produzione di Jarrett è compito arduo. Troverete nelle librerie molti libri che hanno l’intento di consigliare i 100 migliori dischi di Jazz, i 1000 dischi da salvare, e titoli simili, ma tutti si preoccuperanno di andare sul sicuro, consigliandovi il “solito” Koln Concert, assurto allo scomodo ruolo di essere il disco di solo piano per eccellenza. Ebbene, chi segue Jarrett sa bene che i titoli rilevanti sono ben altri, potremmo dire anche il suo esordio sorprendente con la Ecm con “Facing You” o la ormai difficile da reperire (e forse anche da “digerire”) raccolta dei “Sun Bear Concerts”, ma titoli relativamente più recenti come questo “Dark Intervals” sono altrettanto interessanti, quindi andando forse un po’ controcorrente, ve lo consiglio. Sarà per la formula meno consueta dei brani non eccessivamente lunghi a cui jarrett fino a quel momento ci aveva abituato a renderlo un album dalle varie sfaccettature più fruibile e capace di offire una tavolozza di colori pianistici ampia, talvolta è lirico, ispirato al contrappunto come in “Parallels” (il brano che preferisco), misterioso come nell'”Opening”, infuocato (ovviamente) in “Fire dance”. Dello stesso periodo potrei consigliare anche il famoso “Paris Concert” (un titolo che è un inevitabile omaggio all’omonimo disco di Bill Evans), il “Vienna Concert” e “La Scala”, dischi che in qualche modo chiudono un periodo, che in ambito solistico si riaprirà successivamente con episodi intimistici e di ritorno agli standards jazz in solo (The melody at nigh with you) fino ad arrivare all’ultimo capitolo da solista, “Testament Paris/London”.
(21/09/2010)


Elegiac CycleELEGIAC CYCLE (1999) – Brad Mehldau
È tale la complessità di questa opera, anche alla luce delle note introduttive scritte dallo stesso Mehldau e leggibili integralmente nelle note del cd, da essere giustamente considerato uno dei lavori più significativi del pianismo degli ultimi anni, permeato da un costante riferimento al tardo romanticismo tedesco e da frequenti richiami alle ritmiche e improvvisazioni di sapore jazzistico, pur mantenendo una sua caratteristica identità di opera “pensata” e difficilmente improvvisata, a differenza dei concerti solistici di Jarrett.
La pulizia, la padronanza della forma, le notevoli composizioni intrise di spiritualità dettate anche dal loro scopo “elegiaco” come omaggio a personalità care all’autore, la sonorità intimistica della registrazione (l’ambiente pochissimo riverberato), contribuiscono a rendere unico questo disco. Poco conta se, ovviamente, all’interno della produzione jazzistica di Mehldau questa opera rappresenta un momento anomalo e difficilmente digeribile da chi ama lo stesso pianista nelle sue sperimentazioni in trio, grazie al quale ha comunque saputo ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama jazzistico nel giro di pochi anni, riuscendo a rinnovare il classico “trio jazz” per come lo si era inteso fino a quel momento, con Bill Evans prima, e Keith Jarrett poi. Ed è un disco unico anche per la sua diversità da altri progetti solistici di questi ultimi anni, che spesso hanno trovato, giustamente, la loro collocazione anche su spartito; se si pensa che è stato possibile per un “Koln Concert” di Jarrett, opera nata improvvisata e che mai si sarebbe pensato potesse essere fissata sul pentagramma, è un peccato che non ci sia modo di reinterpretare queste musiche, che tanto meriterebbero. Il tempo non mancherà per ovviare a questa mancanza, intanto possiamo immergerci nella profonda riflessione a cui ci inducono sin dalle prime note di “Bard”, la traccia che apre (e chiude, nel suo ciclo) il cd.
 (19/02/2005)


bttbBTTB – Back To The Basics (1999) – Ryiuichi Sakamoto
Ryiuichi Sakamoto, notissimo compositore di colonne sonore e già esponente di spicco di quel Japanese Pop elettronico che negli anni 80 ha conosciuto un discreto successo anche dalle nostre parti, col tempo ha stabilito un ponte tra l’oriente e l’occidente con le sue interessanti composizioni, che tanta ispirazione devono alla musica pianistica francese di autori come Debussy, Ravel e Satie. Il mercato musicale giapponese ha da sempre tributato molti onori a molta della musica colta contemporanea: jazz e fusion, movie sountracks, provenienti dalla nostra area culturale; parlando di questo disco, è notevole considerare che il brano di apertura “Energy flow” (originariamente non facente parte della raccolta) è stato per settimane al primo posto nella classifica dei singoli in Giappone, il che dimostra ancora una volta la poliedrica sensibilità di un mercato come quello del sol levante, a differenza dell’appiattimento e scomparsa della musica strumentale dai vertici delle classifiche di vendita in Europa. Bisogna tornare ai primi anni 80 per trovare qualche brano strumentale campione di vendite in italia.
Il merito di dischi del genere è quello di recuperare un patrimonio musicale di grande fascino, riproponendolo in una veste nuova e fruibile da un più vasto pubblico, anche per introdurre il pubblico all’ascolto degli autori di un secolo fa a cui il compositore giapponese rende omaggio. Operazione intelligente da parte di Sakamoto, amante di un pianismo rarefatto, essenziale e mai virtuosistico, che talvolta sfrutta lo stile tipicamente “da colonna sonora”, a volte è persino troppo immedesimato in Satie (come in “Lorenz and Watson”), nei casi più interessanti, e purtroppo isolati, fa sentire l’anima del proprio paese (in “Tong Poo”), mentre in due episodi c’è anche spazio per sonorità di pianoforte “preparato” (“Prelude” e “Uetax”). Un disco in cui è tale il fascino e la presa sul grande pubblico da parte di certe composizioni e atmosfere, da consigliarlo a chi ama il pianoforte nella sua anima distensiva ed emozionante pur rimanendo non eccessivamente impegnativo all’ascolto.
 (20/02/2005)


Preisner - 10 easy pieces for piano10 Easy Pieces for Piano (2000) – Zbigniew Preisner 
“Un viaggio rassicurante in territori di consolidata e piacevole armonia”. Io definirei così questo lavoro del compositore polacco Preisner, già ben noto autore di notevoli colonne sonore scritte per il compianto Kristztof Kieslowski, che a differenza delle atmosfere cupe e lontane da una visione ottimistica messe al servizio dei capolavori del grande regista, in queste musiche lascia largo spazio a toni positivi e giocosi, talvolta rarefatti o spesso ritmati e piacevoli per l’ascolto di chi ama il pianoforte nella sua dimensione rilassante, e che dopo averne assimilato il contenuto senza sforzo vuole ritrovarsi anche inaspettatamente un sorriso sulle labbra, e non decine di domande o quel senso di spaesamento che può invaderci dopo l’ascolto di Keith Jarrett. Detto questo, e senza offesa per il pianista americano che ho pensato di citare anche perché lo stesso Preisner ha amato moltissimo il suo Koln Concert e lo indica come caposaldo della sua ispirazione, i brani di questa raccolta sono lontanissimi dalle atmosfere di Jarrett, eseguiti non dallo stesso Preisner bensì dal pianista Leszek Mozdzer, che mette la sua tecnica al servizio della spazialità di queste composizioni di musica classica contemporanea che inevitabilmente possono essere associate ad atmosfere adatte al commento di film.
Tra tutti i brani cito i miei preferiti, che reputo gli episodi per diverse ragioni più entusiasmanti: il ritmati “The Art of Flying” e “To See More”, e ” Farewell”, con spunti contrappuntistici e una delle più riuscite melodie del disco.
 (01/07/2005)


Petrucciani soloSOLO LIVE (1997) – Michel Petrucciani
Ho avuto la fortuna di assistere ad un concerto del grande pianista jazz Michel Petrucciani qualche mese prima della sua prematura scomparsa, avvenuta nel 1999. Come è noto il pianista francese era affetto da una grave malformazione che gli impedì di avere un fisico con normali proporzioni, ed era costretto a suonare con una particolare estensione per gli arti allo scopo di poter utilizzare i pedali del piano. Non era bello neppure vedere i suoi movimenti sulla tastiera, ma ascoltando una tale pulizia e velocità sulla tastiera è stato inevitabile per molti chiedersi a che servano a volte tante raccomandazioni sull’eleganza del modo di stare al pianoforte. Michel era effettivamente un prodigio della natura, e quanto ha fatto è stato un importante riscatto verso quella natura che gli aveva negato una vita normale.
Grande interprete ma anche brillante compositore, in questo solo live che non lascia respiro, Petrucciani lega suoi brani a famosissimi classici riletti in maniera mirabile dal punto di vista ritmico, come nel caso dell’apertura affidata al suo “Looking Up” legato ad alla intramontabile “Besame Mucho”, o alla trascinante “Caravan” di Duke Ellington affrontata nel finale, un vero saggio di bravura, sensibilità e abilità tecnica. Uno dei pochi concerti per piano solo dove si avverte tangibile il divertimento e la partecipazione da parte del pubblico. 
(12/02/2006)


Children's SongsCHILDREN’S SONGS (1984) – Chick Corea
Per diversi anni ho avuto in testa la traccia 20 di questo lavoro, “Addendum” per piano, violino e violoncello, avendola sentita alla radio, ma non avevo mai avuto modo di capire chi ne fosse l’autore, dato che mi sembrava una sorta di variazione su “Norwegian Wood” dei Beatles, forse concepita da qualche compositore contemporaneo, ma non immaginavo si trattasse di Corea…ascoltare per credere! Quando finalmente ho ascoltato questo disco ogni mistero si è dipanato, confermo comunque che l’idea di partenza del tema ricalca davvero quella di beatlesiana memoria, ma “Addendum” è in fondo una composizione in più (per quanto davvero splendida), invece quella che è maggiormente nota del disco è la raccolta di preziose miniature pianistiche, spesso molto ritmate, politonali o minimali, che dall’infanzia traggono ispirazione: un omaggio (come ben si comprende dal titolo) a quanto fece 70 anni prima Claude Debussy con il suo “Children’s Corner”.
Spesso queste songs si aprono su un tessuto di accompagnamento ripetitivo della mano sinistra (nr 1-3-4-6-7-14) lasciando il compito melodico alla mano destra. Non si tratta mai di composizioni particolarmente complicate sia nella forma che nella sostanza, se non nel caso della 11, 16 e 20, dove la delicatezza dei primi brani della raccolta lascia spazio a ritmiche dissonanti.
Con questo notevole lavoro Chick Corea è entrato di diritto nel repertorio pianistico contemporaneo, cosa non da poco considerando la chiusura del mondo accademico verso gli esponenti della musica jazz. Erano gli anni delle collaborazioni con il grande Friedrich Gulda,che reinterpretò due di queste Songs e che trasse da Chick grande ispirazione per le sue creazioni, Corea si era lasciato alle spalle gli anni ’70 dei “Return to Forever ” e si accingeva a diventare il paladino della più tecnologica e apparentemente fredda “fusion” degli anni 80, soltanto sul finire degli anni 90 è tornato alla musica contemporanea con il suo “Piano Concerto”.
 (12/02/2006)


Aziza Mustafa ZadehAZIZA MUSTAFA ZADEH (1991) – Aziza Mustafa Zadeh 
Forse su di lei sono fissato, si penserà…ma tale è lo spessore delle sue composizioni che per me è inevitabile non citarla tra i miei piano favourites! Se si pensa a grandi composizioni pianistiche contemporanee, ad un ponte tra oriente e occidente, tra classica e jazz, non si può prescindere da Aziza. Quello che consiglio in questa sede è il suo primo disco (Sony), guardacaso registrato nello stesso studio dove qualche anno prima registrò Chick Corea le sue “Children’s Songs”. Coincidenza a parte, in taluni aspetti del loro pianismo si possono trovare delle somiglianze, soprattutto per la concezione ritmica o le soluzioni armoniche, che però in Aziza sono nettamente più legate alla sua terra di origine, l’Azerbaijan, e al canto del Mugham che lei è riuscita a trasmettere col pianoforte. In questo suo disco d’esordio c’è già tutto il suo eclettico mondo: composizioni originali di stampo jazzistico, pezzi virtuosi per voce e piano, musica contemporanea ritmata e coinvolgente, “Jazz ballad” originali.
A parte qualche episodio con altri rinomati musicisti internazionali, Aziza si esibisce preferibilmente da sola al piano accompagnandosi di tanto in tanto con la sua potente voce, che riesce a sovrapporre con ammirevole precisione a quanto sta nel medesimo istante facendo col pianoforte.
In questo disco c’è la bellissima “Inspiration” per piano e voce, che con la sua melodia richiama istantaneamente l’oriente, ma c’è spazio anche per “Character”, “Exprompt”, “Tea On The Carpet”, brillanti composizioni per piano solo che evidenziano il grande talento di Aziza e la sua grande padronanza dello strumento. 
(12/02/2006)

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