In origine ci fu la cosiddetta “new age music”, che per buona parte degli anni 90 e successivi ha accompagnato e in qualche modo etichettato gran parte dei nuovi lavori legati al pianoforte, forse proprio per l’impossibilità di collocarli in un genere ben preciso. Non era classica, non era pop, jazz o fusion, neanche musica per colonne sonore di film, e dunque il termine “new age”, di gran moda all’epoca, ci stava bene. Arrivarono sul mercato decine e decine di lavori di pianisti, soprattutto americani, interpreti di un pianismo troppo melodico e per certi versi piuttosto banale, il cui scopo principale era di rilassare il corpo e la mente degli ascoltatori. Esagerando ulteriormente in questa direzione, capita ancora di vedere quei cd in certi scaffali di librerie o negozi di articoli legati alla natura dove la musica per pianoforte di questo ambito è sovrapposta ai rumori del bosco, gorgoglii d’aqua, cinguettiii e via dicendo. Terribile. Per fortuna, qualcosa è cambiato. Infatti, arrivando ai giorni nostri, parliamo di una rinascita del tutto nostrana del pianoforte, che in qualche modo ne ha trasformato l’immagine, grazie soprattutto ai suoi interpreti e comunicatori. Niente più quindi pianisti schivi e dal carattere imprevedibile (tipo Jarrett), oppure incapaci di parlare e poco comunicativi e largo quindi a istrionici showmen come Stefano Bollani, o incarnazioni di genio e follia (sincera o costruita che sia) come in Giovanni Allevi. Ma c’è spazio anche per Cesare Picco, Ludovico Einaudi, Roberto Cacciapaglia e molti altri. Più virtuosismo, più note, e talvolta anche più ispirazione di qualche tempo fa. E fa comunque piacere che dopo questo successo di Allevi ci sia più interesse verso i dischi di solo pianoforte come raramente accadeva in passato. Non a caso, ed è anche forse la ragione che mi ha un po’ spinto a queste riflessioni, è’ proprio di questi giorni l’uscita di un disco di pianoforte realizzato da Federica Fornabaio, che è stata anche direttrice d’orchestra a Sanremo 2009, a conferma di questo momento positivo del pianoforte in Italia. Certamente il pianismo legato al Jazz non ha mai sofferto di etichettature o considerazioni applicabili agli altri generi, prevalentemente per la sua presenza sì costante ma pur sempre ai margini del mercato discografico. E’ ovvio che queste piccole rivoluzioni, un interesse mediatico ed un seguito più vasto sono direttamente proporzionali alla immediata fruibilità, alla maggiore semplicità di un’opera in confronto ad un’altra. Bollani è un genio, suona qualsiasi cosa con maestria, ed anche un tango da orchestra “leggera” sotto le sue dita diventa un brano virtuosistico impressionante, ma la sua musica non è scritta e non è per tutti; Allevi suona musica armonicamente dacisamente più alla portata della maggior parte degli ascoltatori, e che ha anche il vantaggio di essere scritta (e questa è sempre cosa non da poco) per cui si spiega il suo successo. Certo, forse abilmente amministrato e pianificato, forse discutibile in quanto in certi casi sarebbe meglio far parlare di più la musica e non accompagnarla con aneddoti surreali e poco credibili, ma non desidero per ora unirmi alle già feroci polemiche presenti in larga misura in rete e che ho seguito con interesse. Basta leggere qualche commento su YouTube per farsi un’idea. Intanto, qualsiasi commento in proposito è ben gradito.
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